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otto ore dopo l’affondamento del cacciatorpediniere,

            della ventina di uomini che originariamente occupavano

            la zattera del tenente di vascello Traverso soltanto nove

            erano ancora vivi; e molti di essi stavano a loro volta

            rassegnandosi passivamente alla morte. Di nuovo

            Traverso cercò di disporre gli uomini in modo da

            impedire che la zattera si rovesciasse, e di nuovo la

            zattera si rovesciò lo stesso. Aperto, per ordine di

            Traverso, il bidone contenente i viveri, i naufraghi

            scoprirono che il contenitore non era perfettamente a


            tenuta stagna: le gallette erano inzuppate d’acqua salata

            e l’acqua dolce era diventata imbevibile, inquinata dalla

            salsedine. In questo modo, le dotazioni di provviste

            erano ridotte a qualche scatoletta di carne ed una di

            latte; Traverso fece distribuire il latte agli uomini che

            apparivano più stremati, mentre gli altri si divisero due

            scatolette di carne.

            Calò intanto la notte: Traverso cercò di rianimare i suoi

            uomini, esortandoli a recitare una preghiera, ma la

            situazione non accennava a migliorare. Il mare, sempre

            molto agitato, capovolse la zattera ancora molte volte; tra

            le continue cadute nell’acqua gelida ed il vento freddo

            che soffiava da maestrale, i superstiti iniziarono a

            manifestare sintomi sempre più gravi di assideramento.

            A tratti Traverso si sorprese a pensare, “con una strana


            calma”, che non avrebbe visto l’alba.

            Dei nove occupanti della zattera morì assiderato, nel

            corso della notte, il tenente del Genio Navale Direzione

            Macchine Antonio Aiello. Gli altri otto erano invece
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