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italiana, un capillare servizio di ricognizione aerea ed una forte
copertura aerea italo-tedesca. Sarebbero mancati tutti e tre.
Dal momento che i piccoli convogli obiettivo dell’incursione
erano formati di solito da quattro o cinque mercantili, scortati
da un incrociatore e qualche cacciatorpediniere, e considerando
che per il successo di un attacco del genere erano essenziali la
rapidità e la sorpresa, probabilmente l’idea più consona sarebbe
stata di lanciare veloci puntate offensive con gli ottimi
incrociatori leggeri della VII e/o VIII Divisione (così come fecero,
successivamente, i britannici stessi contro i convogli italiani, con
la Forza K e la Forza Q), ma le reali motivazioni dietro
all’operazione pianificata da Supermarina erano di natura
politica: dimostrare ai tedeschi che gli italiani, sul mare,
potevano essere aggressivi quanto loro e quanto i britannici.
Nelle parole dell’ammiraglio Giuseppe Fioravanzo, allora Capo
Ufficio Operazioni Piani di Guerra: “Dare al mondo l’impressione
che l’Inghilterra non ci aveva preclusa l’iniziativa in zone lontane
dalle nostre basi; dare alla Squadra, da troppo tempo inattiva, la
soddisfazione per essa tanto desiderata di andare verso il
nemico senza subirne la volontà; non tralasciare le pressioni che
ci venivano da Berlino”.
Ciò portò a decidere per una vera dimostrazione muscolare di
forza: avrebbe preso il mare il fior fiore della flotta italiana, le
unità più moderne e potenti di cui la Regia Marina disponeva.
Il 19 marzo Raeder aveva scritto ancora una volta per
caldeggiare un attacco al traffico britannico nel Mediterraneo
orientale, rimarcando la situazione favorevole generata
dall’“eliminazione” di due corazzate, ed il 25 marzo Riccardi gli
rispose di essere dello stesso avviso, aggiungendo che prossime
operazioni navali italiane sarebbero state indirizzate proprio in
quella direzione. Il 21 marzo anche il generale Alfredo Guzzoni,
Sottocapo di Stato Maggiore Generale, suggerì che la Marina