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reparto  operazioni della Kriegsmarine, ammiraglio Kurt Friche,

            aveva poi rinnovato tali insistenze presso il suo collega italiano,
            ammiraglio Emilio Brenta, ma  anche questi le aveva rigettate,

            adducendo  a  motivo  la disparità di  forze  dopo la notte  di

            Taranto  e  la  scarsità  di  nafta,  le  cui  scorte  sarebbero  state
            notevolmente erose da una missione del genere. Brenta aveva

            anche fatto presente che i britannici sarebbero stati in

            condizione di vantaggio e che, se fossero riusciti a danneggiare

            qualche nave italiana, avrebbero ridotto la velocità della
            squadra, costringendola ad accettare un combattimento lontano

            dalla proprie basi e in qualsiasi situazione di relatività di forze.

            Un timore, come mostrarono i fatti, profetico.

            Fricke aveva allora suggerito incursioni notturne con l’impiego di
            forze navali leggere, ma Brenta aveva puntualizzato che le forze

            di cui si disponeva erano appena sufficienti a svolgere i compiti

            indispensabili, tra cui le scorte verso la Libia.
            Nonostante una siffatta conclusione dell’incontro, dopo di esso

            tra i vertici della Regia Marina ed in Riccardi stesso crebbe

            l’esigenza  di  mostrare  alla  Germania  che  anche  la  Marina

            italiana era in grado di passare con decisione all’offensiva: ciò –
            fu deciso – si sarebbe concretizzato con una puntata offensiva

            (da compiersi non appena la flotta fosse potuta tornare nella

            base di Taranto, una volta che le sue difese contraeree fossero

            state  potenziate)  contro  i  convogli  britannici  che,  provenienti
            dall’Egitto, rifornivano la Grecia.

            Per coincidenza, a fine febbraio fu un ammiraglio che non era

            stato a  Merano, né sapeva quanto vi si  fosse detto, a
            prospettare a Riccardi l’idea di un’incursione in Egeo con una

            corazzata e tre incrociatori: Angelo Iachino. Riccardi rispose che

            un piano del genere era già allo studio da parte di Supermarina,

            ma che nell’immediato era inattuabile per mancanza di obiettivi:
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