Page 6 - Attendolo
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l’allarme aereo e la DICAT aprì il fuoco; la confusione
rimase comunque tale che ancora alle 17 il comando
delle forze navali comunicava che bisognava aprire il
fuoco soltanto contro aerei confermati come nemici. Tra
le funeste conseguenze della sorpresa vi furono il
mancato invio degli equipaggi nei rifugi antiaerei, e la
mancanza di tempo per chiudere le porte stagne.
La densa nebbia artificiale emessa dagli impianti di
annebbiamento del porto, pensati proprio per occultare
le navi in caso di attacco aereo ma attivati solo quando le
bombe iniziarono a cadere, non servì a nulla. I piloti dei
B-24, provenienti dalla zona del Vesuvio, avevano
sottostimato i tempi necessari ad avvistare, identificare e
bersagliare le più importanti unità italiane (le corazzate
della IX Divisione) prima di effettuare correzioni della
rotta che avrebbero permesso loro di colpire i loro
bersagli primari. Le strutture terrestri e la conformazione
geografica della zona confuse ulteriormente i piloti ed i
puntatori; ai loro occhi, il porto si avvicinava rapidamente
e bisognava localizzare in fretta i bersagli. Era ormai
troppo tardi per modificare la rotta in modo da poter
colpire efficacemente le corazzate, così i bombardieri
decisero di attaccare un bersaglio comunque di valore,
ma meno ben difeso e più vulnerabile, che si trovava già
sulla loro rotta: gli incrociatori della VII Divisione.
Un tappeto di bombe da 454 e 907 kg (rispettivamente
25 e 33, in grappoli in cui ogni ordigno era distanziato
dagli altri di due metri e mezzo), sganciato da 6200 metri
di quota, si abbatté sui tre incrociatori. Nel volgere di