Page 53 - Zara
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Tornato in coperta, Parodi offrì un pacchetto di sigarette a Corsi,
ma il comandante sorrise e rispose “Grazie, ma credo che siano
troppe!”. Poi Parodi andò a passi veloci verso un punto dove
c’erano un paio di ufficiali e dei gruppi di marinai; incontrò il
tenente di vascello Foldi, più calmo rispetto a prima, che parlò
ancora della morte di Baracchi, e poi il tenente di vascello
Arimondo, intento, com’era solito fare, a fumare un sigaro: al
saluto di Parodi, rispose (ma in genovese, perché entrambi
erano originari del capoluogo ligure) “Mi sto gustando questo
toscano. Può essere l’ultimo”. Aveva ragione; Arimondo fu tra le
centinaia di dispersi di quella notte.
C’era anche il giornalista Gianantonio Bardi, imbarcato come
corrispondente di guerra, fradicio e tremante per il freddo.
Parodi gli batté una mano sulla spalla e scherzò “Chissà che arti
colone potrai scrivere adesso!”, mentre Bardi sorrise e replicò
“Non perdi mai il buonumore, tu”. Nemmeno lui si sarebbe
salvato.
Parodi tornò ancora una volta dal gruppo di ufficiali radunati
attorno a Cattaneo, ma a quel punto il comandante Corsi ordinò
che tutti coloro che non avevano incarichi particolari andassero
a poppa; ciò fu fatto, e Parodi stimò che ci fossero 200 o 250
uomini. Questo restava dell’equipaggio dello Zara, quasi
millecento tra ufficiali e marinai; gli altri erano morti o feriti o
avevano già abbandonato la nave.
L’ammiraglio Cattaneo si portò al centro del gruppo, salì sul
portello della scala ufficiali e dichiarò: “Un equipaggio che passa
dalla propria nave a una nave nemica è un equipaggio che si
arrende. L’equipaggio dello Zara non si arrende. Io ho dato
l’ordine di affondare la nave”. Diede il saluto alla voce,
inneggiando allo Zara ed alla Marina italiana ed invitando tutti
ad unirsi a lui nel tradizionale grido di «Viva il re, viva lo Zara,
viva l’Italia!».