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cioè ad est di tale isola). Era entrata in un campo minato

            composto da ben 160 ordigni (divisi in due spezzate: una

            più a nord, di 70 mine, ed una più a sud, di 90), posati

            quasi un mese prima, il 9 gennaio, dal posamine veloce

            britannico Abdiel, a nordest di Biserta ed a sud di

            Marettimo. Su quelle mine era già affondato, lo stesso 9

            gennaio, il cacciatorpediniere Corsaro, mentre aveva

            perduto al poppa il cacciatorpediniere Maestrale, che

            aveva potuto essere fortunosamente rimorchiato in

            porto. L’Uragano, con ogni probabilità, era finita sulla


            spezzata settentrionale, quella di 70 mine, la stessa in cui

            erano già incappati Maestrale e Corsaro.

            L’esplosione asportò parte della poppa della

            torpediniera, lasciandola ancora galleggiante, ma

            immobilizzata e senza governo: iniziava così la tragedia.

            Sul Saetta l’ufficiale di guardia e Comandante in seconda,

            il tenente di vascello Franco Traverso, chiamò in plancia il

            Comandante Picchio, che stava carteggiando nel casotto

            di rotta. L’Uragano aveva trasmesso il segnale «colpito da

            mina».



            Il caposcorta Tagliamonte ordinò a Saetta e Clio di dare

            assistenza all’Uragano. Sul Saetta il Comandante Picchio,

            assunta la direzione della manovra, fece mettere le

            macchine avanti a mezza forza, riducendo così di molto


            la velocità, e virò con tutta la barra a sinistra, in modo da

            portarsi a poppavia della Thorsheimer, con il proposito di

            accodarsi ad essa; al caposcorta, Picchio fece trasmettere

            il messaggio «Faccio presente che sono quello che pesca
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