Page 20 - Da Barbiano
P. 20
naufraghi giunti a terra; i feriti furono ricoverati negli ospedali
militari di Tunisi, nell’ospedale italiano «Garibaldi» e, per
mancanza di spazio, anche in un convitto scolastico.
La Cigno perlustrò la zona dello scontro per tutta la notte ed il
mattino successivo, recuperando più di 500 sopravvissuti,
soprattutto del Di Giussano (mentre circa 150 altri avevano
raggiunto la riva a nuoto o su imbarcazioni e zatterini). I
naufraghi, quando non già feriti od ustionati, erano coperti di
nafta, per cui vennero subito mandati alle docce di bordo; altri,
intirizziti dal freddo, furono mandati nei locali caldaie. Il lavoro
della torpediniera fu però intralciato dai velivoli britannici, che
sorvolavano la zona gettando bengala, così costringendo la nave
ad aprire il fuoco con il proprio armamento, effettuare manovre
ed emettere cortine fumogene; diversi superstiti raccontarono
in seguito che gli aerei avevano anche mitragliato naufraghi ed
imbarcazioni in mare, causando altre vittime. Alla Cigno si
unirono anche la vecchia torpediniera Giuseppe Sirtori, quattro
MAS e successivamente un idrovolante CANT Z. 506 (che
ammarò e trasse in salvo due uomini), tutti inviati dalla Sicilia,
oltre anche a pescatori tunisini. Contro i soccorritori c’erano,
oltre al carburante in fiamme sul mare ed alla bassa
temperatura dell’acqua, anche gli squali che infestavano la zona.
Tra le cinque del mattino e le 6.30, sei dei sette uomini
aggrappati all’albero dell’imbarcazione assieme al tenente Bardi
si lasciarono andare e scomparvero: rimasero solo Bardi e
Urlara.
Quando alle 8.30 la Cigno passò vicino allo zatterino del
sottotenente di vascello Figari, continuò a recuperare naufraghi,
e disse loro che sarebbe giunta anche da loro. In realtà,
sarebbero passate altre tre ore prima che un MAS soccorresse i
superstiti dello zatterino e li portasse sulla Cigno: entro quell’ora,