Page 61 - Zara
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successiva era tornato il freddo, che falcidiò gli uomini già
indeboliti. Col passare dei giorni, la fame e soprattutto la sete
divennero problemi sempre più gravi.
Molti, nel tentativo di calmare la tremenda sete, bevvero acqua
di mare e poi gradualmente impazzirono, sino ad uccidersi
gettandosi in mare, o cercando di raggiungere a nuoto navi e
terre immaginarie. Alcuni furono anche divorati da degli squali.
Il 30 aprile 1941 la nave ospedale Gradisca, inviata dall’Italia alla
ricerca dei naufraghi, giunse sul luogo del disastro. I primi
rottami e chiazze di nafta vennero avvistati alle 19.25 di quel
giorno, in posizione 35°33’ N e 20°55’ O, e la nave si diresse nel
punto ove i britannici avevano segnalato una zattera con
naufraghi, ma non trovò nulla. Alle 00.30 del 31 Supermarina
comunicò alla Gradisca la notizia dell’avvistamento, da parte di
aerei italiani, di galleggianti, e la nave si diresse sul posto. Alle
10.35 vennero avvistati due cadaveri: erano due sottufficiali,
entrambi indossavano ancora il salvagente. Furono recuperati
ed identificati, si proseguì nella ricerca. Alle 19.16 vennero
avvistate delle zattere: venne mandata una motolancia a cercare
eventuali sopravvissuti, ma tornò solo con sei cadaveri, che
poterono essere identificati. Erano uomini dello Zara, tra cui il
sottocapo segnalatore Leonardo Pepe.
Iniziava così una lugubre ricerca. Pochi sarebbero stati i
naufraghi trovati ancora vivi, tutti sulle zattere, sfiniti, affamati,
disidratati; tante le zattere vuote alla deriva, troppi i corpi senza
vita, che le onde sollevate dalla Gradisca facevano muovere,
come se stessero ancora nuotando.
Alcune dopo il recupero di Leonardo Pepe e delle altre vittime,
furono trovati i primi sopravvissuti, dell’Alfieri. Nei cinque giorni
successivi, la Gradisca avrebbe tratto in salvo 161 uomini, in
massima parte del Fiume e dei cacciatorpediniere. Dello Zara,
la Gradisca recuperò soltanto otto sopravvissuti, probabilmente