Progetto di Benedetto Parziale. Testi Editing e Ricerche a cura di Guglielmo Evangelista e Benedetto Parziale
Hanno contribuito alla realizzazione del Sito: vedi Elenco
•
Foto della Lapide del Corso nella Cappella dell’Accademia
•
Ricostruzione di dove erano imbarcati i Caduti
•
Storie dei Caduti
Gli Ufficiali del Corso Uragano caduti in
guerra per difendere la Patria
Lapide commemorativa di tutti gli Ufficiali caduti in mare
affissa nella Cappella dell’Accademia Navale
(Clicca sul nome della Nave per informazioni relative
all’affondamento)
Noi Giovani allora vedemmo la vita aprirsi segnando nel gorgo
profondo la luce preziosa: e noi la chiudemmo felici nell’accesa pupilla.
(dall’atto di fede del Corso)
Asp. G.M.
Silvio
Mancinelli
29-3-1941
Asp. G.M.
Dario
Narducci
29-3-1941
Incr. Pola
Asp. G.M.
Fernando
Po
29-3-1941
Incr. Pola
Asp. G.M.
Gustavo
Spada
29-3-1941
Incr. Pola
Asp. G.M.
Mario
Lauro
29-3-1941
Asp. G.M.
Ennio
Rondina
29-3-1941
Incr. Zara
Asp. G.M.
Filippo
Vinciguerra
29-3-1941
Incr. Zara
Asp. G.M.
Giuseppe
Rosas
29-3-1941
G.M.
Giancarlo
Bocconi
13-12-1941
G.M.
Ludovico
Caracciolo di Melito
13-12-1941
Incr. Da Barbiano
G.M.
Pier Luigi
Longhena
13-12-1941
Incr. Da Barbiano
G.M.
Agostino
Staccoli Castracane
13-12-1941
Incr. Da Barbiano
G.M.
Domenico
Viviani
13-12-1941
Incr. Da Barbiano
G.M.
Domenico
Del Torto
13-12-1941
G.M.
Guglielmo
Ghinetti
13-12-1941
Incr. Di Giussano
G.M.
Giobatta
Schiaffino
13-12-1941
Incr. Di Giussano
Asp. G.N.
Renato
Lodato
1-4-1942
S.T.V.
Franco
Rigutini
1-4-1942
Incr. Bande Nere
S.T.V.
Sergio
Coccapani di Carpi
8-6-1942
S.T.V.
Marcello
Magietta
15-6-1942
S.T.V.
Enzo
Montefameglio
15-6-1942
Incr. Trento
Ten. G.N.
Luciano
Cattani
7-11-1942
S.T.V.
Primo
Dina
2-12-1942
S.T.V.
Rodolfo
Mazzini
4-12-1942
Ten. G.N.
Guido
Caucci
13-12-1942
S.T.V.
Remigio
Dapiran
15-12-1942
S.T.V.
Giorgio
Calleri di Sala
17-12-1942
S.T.V.
Mario
Arnavas
7-1-1943
S.T.V.
Vittorio
Squillaci
17-1-1943
S.T.V.
Enzo
Piazzi
3-2-1943
Ten. G.N.
Giovanni
Rubino
9-2-1943
S.T.V.
Paolo
Ghirotti
16-3-1943
S.T.V.
Ferruccio
Gregori
24-3-1943
S.T.V.
Fortunato
Tessiore
24-3-1943
Ct. Malocello
Ten. G.N.
Mario
Rava
30-4-1943
Ten. G.N.
Benedetto
Manna
20-7-1943
S.T.V.
Gastone
Voncina
31-7-1943
Ten. G.N.
Piero
Serrati
7-9-1943
S.T.V.
Mario
Caterini
9-9-1943
S.T.V.
Franco
Codognola
9-9-1943
S.T.V.
Paolo
Milani Comparetti
9-9-1943
Cor. Roma
S.T.V.
Vico
Venturoli
9-9-1943
Cor. Roma
S.T.V.
Giuseppe
d’Henry
12-9-1943
S.T.V.
Massimo
Calabrese
12-11-1943
S.T.V.
Carlo G.
Sorcinelli
10-4-1944
T.V.
Mameli
Rattazzi
5-6-1944
Hanno collaborato alla realizzazione del Sito:
Paolo Bonetti, Giovanni Brauzi, Ernesto Fasano, Ezio Gatto, Roberto Inserra, Francesco Martinelli, Paola Martinelli,
Manuela Prati, Carlo Ott, Michela Ott, Lorenzo Colombo, Gianni Vignati.
Uno speciale ringraziamento al Comando e agli Ufficiali e Sottufficiali dell’Accademia Navale di Livorno (Ammiraglio
Flavio Biaggi, Capitano di Fregata Emanuele Gennai, Capitano di Corvetta Stefano Ara, Capo Francesco Valentini) che mi
hanno aiutato ed assistito nelle ricerche effettuate presso l’Archivio Storico dell’Accademia Navale.
Mezzi d’Assalto
In preparazione
(Estratto da _______________)
MAS 505
In preparazione
(Estratto da _______________)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
MAS 555 - Lero
In preparazione
(Estratto da _______________)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
Ct. Sella
In preparazione
(Estratto da _______________)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
Corazzata Roma
L'8 settembre 1943, la corazzata Roma
con altre 22 navi Italiane ricevette
l'ordine di recarsi a La Maddalena,
ottemperando alle clausole
dell'armistizio.
Verso le 15:10, al largo dell'isola
dell'Asinara la formazione fu sorvolata
ad alta quota da ventotto bimotori
Dornier Do 217K della Luftwaffe che
avevano istruzioni di mirare unicamente
alle corazzate.
Alle 15:42, l'Oberleutnant Heinrich
Schmetz centrò la corazzata Roma una
prima volta fra la quinta e la sesta torre
antiaerea da 90 mm di dritta; il colpo
attraversò lo scafo esplodendo
sott'acqua e aprendo una falla. Il
secondo colpo alle 15:50 centrò la nave
verso prua, sul lato sinistro con
conseguenze ben diverse: a prua si
allagarono le caldaie causando l'arresto
nella nave e i depositi di munizioni
deflagrarono, morirono l'ammiraglio
Bergamini e il suo Stato Maggiore, il
comandante della nave Adone Del Cima
e buona parte dell'equipaggio, uccisi
pressoché all'istante.
La nave, alle 16:11, si capovolse e in
pochi minuti, spezzata in due tronconi,
affondò. Chi riuscì a lasciare la nave poté
allontanarsi ed essere salvato dai
cacciatorpediniere di scorta.
Ben 1352 marinai del Roma persero la
vita. I naufraghi, recuperati dalle unità
navali inviate in loro soccorso, furono
622, di cui 503 salvati dai tre
cacciatorpediniere, 17 dall'Attilio Regolo e
102 dalle tre torpediniere.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
Ct. Vivaldi
Il 7 settembre, il Vivaldi (al comando del
capitano di vascello Francesco Camicia)
ed il gemello Da Noli salparono da La
Spezia per fare rotta per La
Maddalena,dove avrebbero incontrato il
grosso della squadra navale italiana. Al
largo di Razzoli, nelle bocche di
Bonifacio, le due navi si scontrarono con
alcune motovedette e motozattere
tedesche, affondandone o
danneggiandone alcune e costringendo
le altre a ripiegare; ma furono poi prese
di mira dal tiro delle batterie costiere
tedesche della Corsica. Il Vivaldi, verso le
17, fu ripetutamente colpito e
gravemente danneggiato: a bordo si
sviluppò un incendio e le macchine
vennero messe fuori uso; nel giro di
mezz'ora la nave si trovò immobilizzata a
sud di Capo Fenu. Il Da Noli ebbe sorte
ancor peggiore: lievemente danneggiato
dal tiro delle batterie, mentre manovrava
per allontanarsi urtò una mina che ne
provocò il rapido affondamento. Verso le
19 il Vivaldi poté rimettere in funzione
una delle caldaie e, alla velocità di 10
nodi, cercò di allontanarsi, ma fu
nuovamente attaccato da bombardieri
tedeschi Dornier Do 217; nonostante la
reazione delle artiglierie contraeree della
nave, una bomba radioguidata Henschel
Hs 293 colpì l'unità arrecandole ulteriori
danni. Appruato e quasi fermo a
mezzanotte, il Vivaldi continuò nella sua
sempre più difficoltosa navigazione, ma
alle 5:30 del 10 settembre, dopo aver
passato l'Asinara, non potendo più
proseguire, fu dato l'ordine di
abbandonare la nave e di
autoaffondarla. Due membri
dell'equipaggio, il capitano di corvetta
Alessandro Cavriani (assistente di
squadriglia) ed il capo meccanico Virginio
Fasan, tornarono a bordo per
accelerarne la fine, ma scomparvero
entrambi con la nave che colava a picco
una cinquantina di miglia ad ovest
dell'Asinara: alla loro memoria fu
conferita la Medaglia d'oro al valor
militare.
In tutto tra l'equipaggio del Vivaldi si
ebbero 58 morti e 240 sopravvissuti.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
Sommergibile Velella
Il Velella detiene il triste primato di
essere stato l'ultimo sommergibile
italiano perduto nella guerra contro gli
Alleati: nell'ambito del «Piano Zeta», di
contrasto al previsto sbarco anglo-
americano in Calabria o Campania, lasciò
Napoli il 7 settembre 1943, e da quel
giorno non diede più notizie di sé.
Nel dopoguerra si poterono apprendere
le circostanze della perdita: verso le otto
di sera del 7 settembre il sommergibile
britannico Shakespeare, in navigazione al
largo di Punta Licosa, aveva avvistato
due sommergibili italiani – il Velella ed il
Benedetto Brin – che procedevano con
rotte parallele alla sua, ai suoi due lati;
aveva quindi scelto di attaccare il Velella
perché, essendo il tramonto e trovandosi
il Velella verso il mare aperto, questo era
chiaramente visibile in controluce (il Brin
navigava invece nei pressi della costa e
con essa si confondeva per via della
sopraggiungente oscurità) e gli aveva
lanciato sei siluri: quattro andarono a
segno, provocando l'immediato
affondamento del sommergibile in
posizione 40° 15' N e 14° 30' E. Dal Brin
fu avvertita anche un'esplosione
subacquea.
Tutto l'equipaggio (il comandante
Patané, 5 altri ufficiali e 44 fra sottufficiali
e marinai) scomparve con il
sommergibile.
187
a
Sq. Idrovolanti
In preparazione
(Estratto da _______________)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
Sommergibile Barbarigo
Il 16 giugno 1943 il Barbarigo lasciò
Bordeaux con destinazione Batavia (o
Singapore), al comando del capitano di
corvetta Umberto de Julio e con a bordo
130 tonnellate di materiali e, oltre
all'equipaggio, tre uomini destinati alla
nuova base da costituire a Singapore; il
24 giugno avrebbe dovuto segnalare la
posizione a Betasom, ma non lo fece: dal
Barbarigo non giunsero mai più notizie.
Nel dopoguerra le fonti britanniche
indicarono due attacchi aerei che
potrebbero aver determinato la fine del
sommergibile:
•
nel pomeriggio del 17 giugno 1943 un
velivolo inglese bombardò due volte
un sommergibile che navigava in
superficie, con rotta 250°, in
posizione 43°42' N e 9°37' O, senza
poter accertare l'esito;
•
nella mattinata del 19 giugno 1943 un
aereo statunitense attaccò più volte
un sommergibile in superficie, in
posizione 35°30' N e 18°10' O,
danneggiandolo gravemente e
costringendolo ad immergersi di
poppa sbandato di 45°.
Risulta però che il sommergibile aveva
ordine di navigare solo in immersione
nella zona indicata dai piloti degli aerei
come il luogo degli attacchi, ed inoltre il
17-19 giugno avrebbe dovuto trovarsi a
metà strada fra Bordeaux e le posizioni
indicate; se però fosse stato costretto a
restare in superficie (ad esempio per un
guasto) avrebbe potuto effettivamente
trovarsi in zona.
Con il sommergibile scomparvero il
comandante De Julio, 6 altri ufficiali e 52
fra sottufficiali e marinai.
(Estratto da Wikipedia)
Ct. Pancaldo
Il 30 aprile 1943, il Pancaldo (al comando
del capitano di fregata Tommaso Ferreri
Caputi) partì per un'altra missione di
trasporto truppe tedesche a Tunisi
insieme al cacciatorpediniere tedesco
Hermes. Alle nove del mattino le due
unità furono infruttuosamente attaccate
da cinque aerosiluranti, alle dieci elusero
indenni un attacco portato da 12
cacciabombardieri; alle 11.30 furono
però assalite da 32 bombardieri. Mentre
l’Hermes, pur duramente colpito e con
vittime a bordo, riuscì a raggiungere a
rimorchio Biserta, il Pancaldo, con
l'apparato motore distrutto da varie
bombe e lo scafo perforato in più punti,
s'inabissò a due miglia per 29° da Capo
Bon portando con sé oltre metà
dell'equipaggio.
Scomparvero in mare 156 uomini,
mentre altri 124 tra ufficiali, sottufficiali e
marinai, tra cui il comandante Ferreri
Caputi, ferito, vennero tratti in salvo.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
Ct. Malocello
Nella sera del 23 marzo 1943 il Malocello,
al comando del capitano di fregata Carlo
Rossi (nato a Campo Ligure il 21 luglio
1901), partì da Pozzuoli insieme con i CT
Pancaldo e Camicia Nera per trasportare
truppe tedesche a Tunisi; nella mattinata
del 24 si aggiunse un quarto CT, l’Ascari,
che divenne capo formazione. Alle 7:28
del 24 marzo, mentre navigava a 27 nodi
con rotta a zig zag poco distante da Capo
Bon, il Malocello urtò una mina e
s'immobilizzò con gravi danni,
sbandando. Gran parte del personale di
macchina fu ucciso dallo scoppio o al
vapore surriscaldato fuoriuscito dalle
tubature rotte. Alcuni uomini caddero o
si gettarono in acqua, il resto
dell'equipaggio e delle truppe rimasero
allineati sul ponte in attesa dei soccorsi.
Mentre Pancaldo e Camicia Nera
venivano fatti proseguire, l’Ascari si
affiancò al Malocello per trasbordarne
equipaggio e truppe, ma il sistema «TAG»
rilevò un siluro obbligando l’Ascari ad
accelerare e allontanarsi dal Malocello.
Alle 8:35 fu dato ordine di abbandonare
la nave e dieci minuti dopo, a un'ora e un
quarto dall'urto contro la mina, alle 8:45,
il Malocello si rovesciò, si spezzò in due e
s'inabissò 28 miglia a nord di Capo Bon.
Dopo quasi nove ore dall'affondamento
del Malocello alcuni MAS partiti da
Biserta e Pantelleria recuperarono i
sopravvissuti. Del Malocello scomparvero
in mare il comandante Rossi e 198 tra
ufficiali, sottufficiali e marinai (a fronte di
solo 42 superstiti), oltre a qualche
centinaio di militari tedeschi. Tra gli
scomparsi il direttore di tiro, Tenente di
Vascello Adolfo Gregoretti, che,
prodigatosi per salvare il maggior
numero di vite possibile, diede il proprio
salvagente a un marinaio e affondò con
la nave: alla sua memoria fu conferita la
Medaglia d'oro al valor militare.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
287
a
Sq. Idrovolanti
In preparazione
(Estratto da _______________)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
Sommergibile Malachite
Il Malachite, il mattino del 9 febbraio al
rientro da una missione di sbarco
incursori sulla costa algerina venne
sorpreso dal sommergibile olandese
Dolfijn ad appena due miglia dalla sua
posizione, il sommergibile olandese, da
una distanza di 2000-2300 metri, lanciò
tutti i quattro siluri dei tubi prodieri, a
ventaglio, con intervalli di otto secondi e
mezzo tra l’uno e l’altro, per
incrementare la probabilità di colpire.
Sul Malachite il nocchiere Sisto Fosci,
vedetta di prua, avvistò le scie e gridò
«Siluri a sinistra ore 8»; il comandante
Cinti ordinò di mettere tutta la barra a
dritta, e con tale pronta manovra il
sommergibile riuscì ad evitare tre siluri,
che gli passarono a proravia: il primo a
50 metri di distanza, il secondo a cinque,
il terzo a meno di un metro di distanza.
Ma non fu così per il quarto siluro, che
circa due minuti dopo il lancio colpì il
Malachite sul lato sinistro, a poppavia
della torretta. Il sommergibile italiano
iniziò subito ad affondare di poppa;
quando era già quasi completamente
sott’acqua, il Malachite s’impennò
improvvisamente levando la prua quasi
verticalmente, interamente fuori
dell’acqua fin quasi all’altezza della
torretta, dopo di che affondò nel volgere
di un istante. In soli 50 secondi
dall’impatto del siluro il battello italiano
si era inabissato, tre miglia a sud di Capo
Spartivento sardo.
Su 48 uomini che formavano
dell’equipaggio del Malachite, soltanto
quattro ufficiali e nove tra sottufficiali e
marinai (che si trovavano tutti o quasi
tutti in coperta od in torretta al
momento del siluramento), tra cui il
comandante Cinti ed il comandante in
seconda (tenente di vascello Giovanni
Battista Cardillo), riuscirono a salvarsi.
Gettati in mare dall’esplosione, furono
tratti in salvo poco dopo dai
cacciasommergibili ausiliari AS 8 Arcioni
AS 63 Dori del Comando di Cagliari,
subito giunti sul posto.
Morirono nell’affondamento un ufficiale
(il sottotenente G.N. Giovanni Rubino,
sottordine di macchina, che scomparve
in mare dopo essere stato proiettato in
mare dall’esplosione del siluro) e 34 tra
sottufficiali e marinai.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
Ct. Saetta
Il 3 febbraio il Saetta lasciò Biserta per
scortare a Napoli, insieme alle
torpediniere Clio, Monsone, Uragano e
Sirio, la grossa nave cisterna Thorsheimer.
Al largo delle coste tunisine l’Uragano
urtò una mina, che le asportò la poppa
(affondò tre ore dopo portando con sé
114 uomini); il Saetta e la Clio si
avvicinarono per prestare soccorso, ma
dieci minuti dopo, alle 9.50 (per altre
fonti alle 13.10
[1]
) anche il Saetta urtò una
mina a centro nave: spezzato in due
dall'esplosione, s'inabissò in meno di un
minuto in posizione 37°35' N e 10°37' E
(a 27 miglia per 60° dall'Isle of Dogs).
I naufraghi rimasero per due giorni in
balia del mare mosso prima di poter
essere soccorsi: del Saetta furono
recuperati solo 39 superstiti.
Scomparvero in mare 170 uomini, tra cui
il comandante Picchio, che, rimasto fino
all'ultimo al suo posto nell'intento di
affondare con la nave, fu poi visto in
acqua tra i naufraghi finché, dopo
qualche ora, si allontanò dal gruppo dei
superstiti insieme al suo cane lupo: alla
sua memoria fu conferita la Medaglia
d'oro al valor militare.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
Ct. Bombardiere
Il 17 gennaio 1943 il Bombardiere salpò
da Biserta per scortare a Palermo,
insieme al Legionario, la motonave Mario
Roselli. Alle 17.30, poco dopo il tramonto,
quando ormai la Sicilia era già in vista, fu
avvistata la scia di un siluro, lanciato dal
sommergibile britannico United: il
Bombardiere cercò di virare a dritta per
evitare l'arma, ma fu centrato all'altezza
della plancia: l'esplosione distrusse la
plancia, gettandone in mare una parte, e
fece scoppiare le caldaie, spezzando in
due la nave. Il troncone di poppa affondò
quasi subito, alle 17.25, in posizione
38°15' N e 11°43' E (24-26 miglia a
nordovest di Marettimo), la prua
s'inabissò qualche minuto dopo. Il
comandante Moschini (nato a
Sant'Elpidio a Mare, in provincia di Ascoli,
il 17 giugno 1903) liberò il timoniere
intrappolato nei rottami e lo gettò in
acqua, prima di scomparire con la nave:
alla sua memoria fu conferita la Medaglia
d'oro al valor militare. Il Legionario, senza
fermarsi, si limitò a gettare ai superstiti
del cacciatorpediniere gli zatterini di
salvataggio che aveva a bordo. Tra coloro
che morirono prima dell'arrivo dei
soccorsi vi fu il direttore di macchina,
Capitano del Genio Navale Eugenio
Amatruda, che, ferito gravemente, era
salito su di uno zatterino dopo essersi
prodigato per il salvataggio dei suoi
uomini (ricevette la medaglia d'argento
al valor militare alla memoria).
Altre unità inviate in soccorso da
Palermo trassero in salvo 49 uomini del
Bombardiere, in buona parte feriti od in
stato di ipotermia. Scomparvero in mare
il comandante Moschini, 7 ufficiali e 167
tra sottufficiali e marinai.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
Ct. Bersagliere
Il 7 gennaio 1943 il Bersagliere si trovava
ormeggiato al molo sud del porto di
Palermo, quando, a partire dalle 16.25,
tale città fu oggetto dell'attacco di dieci
bombardieri della Ninth Air Force, con
obiettivo il porto. Cinque minuti dopo
l'inizio dell'attacco il Bersagliere fu colpito
da due bombe, sbandò quasi subito sulla
dritta, poi, rapidamente, si abbatté su
tale fianco affondando nelle acque del
porto. Alcuni uomini rimasero
intrappolati all'interno dello scafo,
affondato in pochi metri d'acqua, ma
non fu possibile salvarli: non poterono
che dare un ultimo saluto da dietro gli
oblò.
Nell'affondamento del Bersagliere
persero in tutto la vita 59 membri del
suo equipaggio compreso il comandante
della nave, il capitano di fregata Anselmo
Lazzarini (nato a Macerata il 26 marzo
1901).
(Estratto da Wikipedia)
La Lapide commemorativa nel porto di
Palermo
Ct. Aviere
Il 16 dicembre 1942 l'Aviere salpò da
Napoli per scortare a Biserta, insieme al
gemello Camicia Nera, la motonave
tedesca Ankara. Alle 11.15 del 17
dicembre, una quarantina di miglia a
nord di Biserta, il sommergibile
britannico Splendid attaccò il convoglio
con il lancio di alcuni siluri: una delle
armi centrò l’Aviere, che esplose, sbandò
sul lato di dritta, si spezzò in due ed
andò a fondo nel volgere di pochi
secondi, in posizione 38°00' N e 10°05' E.
A bordo dell’Aviere c'erano tra i 230 ed i
250 uomini: di questi, un centinaio fece
in tempo ad abbandonare la nave, ma
nessuno dei superstiti fu raccolto dal
Camicia Nera o dall’Ankara, che si
allontanarono a tutta velocità;
l'affondamento della nave era stato così
rapido e violento che solo due zattere di
salvataggio, oltre a vari rottami, si erano
staccate dalle sovrastrutture. Quando,
durante il pomeriggio, le torpediniere
Calliope e Perseo raggiunsero i naufraghi,
solo 30, tra cui due soli ufficiali (il
comandante in seconda - Olinto Di Serio
- ed un ufficiale di macchina;
quest'ultimo morì poi all'ospedale di
Torrebianca, a Trapani, per conseguenza
dell'ingerimento di nafta) erano ancora
vivi.
Tra i 220 (per altra fonte 200) morti e
dispersi anche il comandante
Castrogiovanni, che, dopo aver radunato
ed incoraggiato gli uomini, cedette il
proprio posto su una zattera ad un
marinaio sfinito e scomparve in mare:
alla sua memoria fu conferita la
Medaglia d'oro al valor militare.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
Sommergibile Uarsciek
L'11 dicembre 1942 (comandante del
sommergibile era il tenente di vascello
Gaetano Arezzo della Targia) l’Uarsciek
lasciò Augusta diretto una cinquantina di
miglia a meridione di Malta per attaccare
Forza K della Royal Navy, formazione che
minacciava le comunicazioni fra l'Italia e
la Libia. Alle tre del 14 avvistò la
formazione nemica – due incrociatori e
tre cacciatorpediniere – e si portò
all'attacco con il lancio di due siluri, dai
tubi di poppa, contro i cacciatorpediniere
Petard (inglese) e Vasilissa Olga (greco);
subito dopo s'immerse per evitare la
caccia. Furono avvertiti due forti scoppi,
ma non sono mai stati confermati
danneggiamenti (di sicuro né il Petard né
il Vasilissa Olga furono colpiti).
Causa un errore nelle manovre
d'immersione rapida, il sommergibile
sprofondò molto più in basso del
previsto, sino a 160 metri (il doppio della
quota di collaudo); per salire ad una
quota meno elevata fu immessa aria nei
doppifondi, ma fu commesso un altro
errore (la quantità d'aria pompata risultò
eccessiva) e l’Uarsciek, invece che portarsi
ad una quota meno profonda, venne in
affioramento, spingendo la torretta fuor
d'acqua; facilmente individuato, non
ebbe il tempo di tornare molto in
profondità prima di essere investito dagli
scoppi delle cariche di profondità gettate
dai cacciatorpediniere. Pesantemente
danneggiato e con infiltrazioni d'acqua,
dovette forzatamente emergere e
cercare di impegnare le due unità
avversarie col cannone ed avviare al
contempo le manovre di
autoaffondamento; fu però subito
spazzato dal tiro di cannoni e mitragliere
del Petard e del Vasilissa Olga, che
falcidiarono l'equipaggio uccidendo il
comandante Arezzo della Targia, il
comandante in seconda (Sottotenente di
Vascello Remigio Dapiran), 5 sottufficiali,
5 sottocapi e 6 marinai, e ferendo molti
altri uomini; tra l'altro il Petard andò
anche accidentalmente ad urtare l'unità
italiana
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento su AFFONDAMENTI
Sommergibile Corallo
Il 10 dicembre 1942 il Corallo, al
comando del tenente di vascello Guido
Guidi, salpò da Cagliari per una missione
da svolgere in un’area situata tra Bona e
Biserta (poi gli fu ordinato di spostarsi
tra La Galite e Cap de Fer), con ordine di
penetrare nella rada di Bougie durante la
notte del 13, ed attaccare eventuali navi
nemiche che avesse trovato in rada.
Un membro dell’equipaggio, Salvatore
Fanale, rimase a terra perché doveva
essere operato d’appendice: una
malattia che gli salvò la vita. Dopo la
partenza, infatti, il Corallo non diede più
notizia di sé; invano le chiamate radio
continuarono fino al 23 dicembre.
A guerra finita si seppe cos’era successo.
Nella notte del 13 dicembre 1942 il
Corallo, a 14 miglia da Bougie (e 165
miglia a nordest di Algeri), era stato
localizzato ed attaccato da quattro unità
britanniche di scorta al convoglio «KMS
4» (in navigazione da Gibilterra ad
Algeri); sottoposto a bombardamento
con cariche di profondità, era stato
danneggiato ed obbligato ad emergere.
A questo punto, secondo alcune fonti,
marinai del Corallo avevano raggiunto il
cannone del sommergibile ed avevano
cercato di puntarlo verso lo sloop
Enchantress (capitano di fregata Arthur
Edward Tolfray Christie) per ingaggiare
uno scontro d’artiglieria, ma la nave
britannica aveva speronato il battello
italiano. Mentre l’Enchantress aveva
subito nella collisione seri danni alle
strutture prodiere, il Corallo aveva avuto
la peggio, ed era affondato con tutto
l’equipaggio – il comandante Guidi, 5 altri
ufficiali e 43 tra sottufficiali e marinai –
nel punto 36°58’ N e 05°07’ E (a nord del
golfo di Bougie).
(Estratto da Wikipedia)
Incrociatore Attendolo
Mentre l'Attendolo si trovava nella città
partenopea il 4 dicembre 1942, giorno di
Santa Barbara, vi fu un bombardamento
da parte dei B-24 statunitensi partiti
dall'Egitto che arrivarono indisturbati
sulla città in quanto scambiati per una
formazione di Ju 52 tedeschi, sganciando
le loro bombe da oltre 6000 metri di
altitudine, nel tentativo di colpire le navi
da battaglia presenti nel porto.
Le bombe mancarono il bersaglio
principale, ma vennero colpite altre navi
militari presenti.
L'Eugenio di Savoia ebbe 17 morti e 46
feriti e danni alla parte posteriore dello
scafo riparabili in 40 giorni. Il
Montecuccoli venne colpito da una
bomba a centro nave proprio dentro un
fumaiolo che venne disintegrato
lasciando al suo posto un cratere, ma la
protezione della corazzatura riuscì a
salvare la nave che ebbe 44 morti e 36
feriti ed ebbe bisogno di ben sette mesi
di lavori.
Il Muzio Attendolo venne colpito al centro
da una o due bombe e venne
danneggiato sotto la linea di
galleggiamento, diversi incendi
scoppiarono nella parte poppiera della
nave. Quando gli incendi vennero domati
la nave non era stata ancora messa in
salvo, ma un allarme di un nuovo attacco
aereo, rivelatosi poi falso, fece
sospendere le operazioni di soccorso e
quando queste ripresero era ormai
troppo tardi, in quanto la nave si era
inclinata affondando.
Alla fine tra l'equipaggio si contarono
188 morti (tra cui il comandante, CV
Mario Schiavuta ed il comandante in 2^,
CF Ugo Mazzola) e 46 feriti. Anche tra
l'equipaggio della corazzata Littorio vi fu
un morto, mentre tra le 150 e le 250
vittime vi furono tra la popolazione civile.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento in AFFONDAMENTI
Ct. Folgore
Alla mezzanotte del 2 dicembre il
Folgore salpò da Palermo al comando
del capitano di corvetta Ener Bettica per
scortare a Palermo, insieme ai
cacciatorpediniere Da Recco e Camicia
Nera ed alle torpediniere Procione e Clio,
il convoglio «H». Mediante
l'organizzazione Ultra la Royal Navy
venne a sapere del convoglio e inviò
contro di esso la Forza Q (incrociatori
leggeri HMS Aurora, HMS Sirius ed HMS
Argonaut, cacciatorpediniere HMS
Quentin e HMAS Quiberon). Alle 00.37 le
navi britanniche intercettarono il
convoglio «H» e lo attaccarono presso il
banco di Skerki: nel violento scontro, che
si protrasse per un'ora, furono affondati
tutti i trasporti (tranne il Puccini,
irrimediabilmente danneggiato ed
autoaffondato in un secondo tempo) e
gravemente danneggiati Da Recco e
Procione. Il Folgore, che si trovava di
poppa al convoglio, rilevò la presenza
delle navi nemiche con il «Metox» e,
all'ordine di contrattacco lanciato dal
caposcorta (capitano di vascello Aldo
Cocchia del Da Recco) fu la prima unità
ad eseguirlo: si portò a soli 1000 metri
dall'Aurora e gli lanciò tre siluri, poi ne
lanciò altri contro il Sirius, tutti a vuoto
e, mentre ripiegava, aprì il fuoco con le
artiglierie: le vampe dei cannoni
permisero però alle unità inglesi di
individuarlo e centrarlo ripetutamente
con il loro tiro. Colpito da almeno nove
proiettili, in fiamme ed immobilizzato, in
corso di allagamento, il Folgore continuò
a sparare sino ad esaurire tutte le
munizioni del calibro principale, poi,
all'1:16, si capovolse ed affondò,
portando con sé oltre metà
dell'equipaggio.
Scomparvero in mare il comandante
Bettica (volontariamente inabissatosi
con la sua unità), altri 3 ufficiali, 13
sottufficiali e 107 tra sottocapi e marinai.
Alla memoria del comandante Bettica fu
conferita la Medaglia d'oro al valor
militare.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento in AFFONDAMENTI
Sommergibile Sciesa
Il 3 novembre 1942 lo Sciesa, al comando
del tenente di vascello Raul Galletti, salpò
di nuovo da Taranto per un’altra
missione di trasporto: questa volta il
carico assommava a 84,2 tonnellate di
munizioni e materiale sanitario, da
trasportare a Tobruk. La piazzaforte
libica, di fronte all’avanzata delle forze
britanniche, sarebbe caduta di lì a dieci
giorni, e su di essa si intensificavano gli
attacchi aerei (il 2 novembre era saltato
in aria, colpito da bombe mentre
scaricava munizioni, l’incrociatore
ausiliario Brioni).
Dopo tre giorni di navigazione, il
sommergibile giunse a Tobruk alle otto
del mattino del 6 novembre, e cominciò
quindi a sbarcare il proprio carico con la
massima celerità possibile.
Mentre l’operazione era in corso, però,
Tobruk subì un’altra incursione aerea da
parte di bombardieri Boeing B-17 “Flying
Fortress” della Middle East Air Force
dell’USAAF (precisamente, il 513
rd
Bombing Squadron del 376
th
Bombing
Group). Nel corso dell’attacco, che si
protrasse dalle 15.20 alle 16.15 (per altra
fonte, però, il sommergibile fu colpito a
mezzogiorno), lo Sciesa venne centrato
da tre bombe, una delle quali in torretta:
le esplosioni uccisero 23 dei 55 uomini
presenti a bordo (5 ufficiali, 5 sottufficiali
e 13 tra sottocapi e marinai), ne ferirono
altri 14, e scatenarono un furioso
incendio che l’equipaggio superstite
riuscì a stento a domare.
A causa dei gravissimi danni subiti, lo
Sciesa si posò sul fondale, in posizione
32°05’ N e 23°59’ E (per altra versione, fu
portato all’incaglio dal comandante
Galletti, per evitare che affondasse).
Nello stesso bombardamento fu
affondato anche il piroscafo Etiopia,
mentre venne danneggiato il pontone
semovente tedesco L 69.
(Estratto da Wikipedia)
Incrociatore Trento
Il Trento prese parte alle principali azioni
navali, quali le battaglie di Punta Stilo (9
luglio 1940), Capo Teulada (27 novembre
1940) e Capo Matapan (27 - 28 marzo
1941) la prima e la seconda battaglia
della Sirte. Il 9 novembre 1941 partecipò
alla battaglia del convoglio Duisburg.
Durante la Notte di Taranto (11-12
novembre) venne colpito da una bomba
ad una torre binata di prora.
Il mattino del 15 giugno 1942 mentre
stava navigando con una flotta da
battaglia per intercettare un convoglio di
rifornimenti alleati diretti a Malta in
quella che era l'Operation Vigorous
venne attaccato ed affondato da due
siluri. Il primo siluro, lanciato alle 5:15 da
un aerosilurante Bristol Beaufort alleato
decollato da Malta, immobilizzò il Trento
che venne lasciato indietro mentre il
resto della flotta proseguiva
all'inseguimento del convoglio.
Alle 09:10, mentre veniva trainato dal
cacciatorpediniere Pigafetta venne
centrato nel deposito munizioni prodiero
da un siluro lanciato dal sottomarino
HMS Umbra della Royal Navy affondando
rapidamente. Alle 9:15 l'unità era già
affondata. I membri dell'equipaggio
ebbero poco tempo per indossare il
giubbotto di salvataggio e balzare in
acqua e oltre la metà morirono (657 su
1152 a bordo) a causa delle esplosioni o
affondarono con la nave.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento in AFFONDAMENTI
Ct. Usodimare
L’Usodimare è stato l'unico
cacciatorpediniere italiano ad andare
perduto in un tragico caso di fuoco
amico. Alle due di notte dell'8 giugno
1942, infatti, l'unità lasciò Napoli per
scortare a Tripoli la moderna motonave
Vettor Pisani; le due unità si congiunsero
poi, una volta nel canale di Sicilia, con un
altro convoglio diretto in Libia. Nella
stessa zona si trovava anche un
sommergibile italiano, l’Alagi, appena
giunto nel suo settore d'agguato (una
ventina di miglia a settentrione di Capo
Blanc) e non informato della presenza
del convoglio: ritenendo perciò le navi
britanniche, il sommergibile le attaccò
lanciando tre siluri contro il
cacciatorpediniere più vicino, che era
proprio l’Usodimare. Centrato da un
siluro alle 21.20, il cacciatorpediniere si
spezzò in due e s'inabissò in cinque
minuti, 72 miglia a nord di Capo Bon.
Tra i 306 uomini a bordo (incluso un
piccolo gruppo di marinai di passaggio) vi
furono 141 morti e 165 sopravvissuti.
(Estratto da Wikipedia)
Incrociatore Bande Nere
Il 21 marzo dello stesso anno fece parte
della formazione italiana inviata ad
attaccare un convoglio inglese diretto a
Malta; ne derivò la seconda battaglia
della Sirte nella quale il Bande Nere colpì
con un proiettile da 152 mm
l'incrociatore britannico Cleopatra,
causando 15 morti e alcuni danni (che
tuttavia non impedirono alla nave di
continuare il combattimento).
Il mattino del 1º aprile 1942 lasciò
Messina diretto a La Spezia scortato dal
cacciatorpediniere Aviere e dalla
torpediniera Libra. Alle 9 del mattino a
undici miglia da Stromboli il gruppo
venne intercettato dal sommergibile
britannico Urge: un siluro spezzò in due
lo scafo del Giovanni delle Bande Nere,
che affondò rapidamente, trascinando
con sé 381 (per altre fonti 287) uomini
dei 507 che erano a bordo. Il fuochista
ausiliario Gino Fabbri fu uno degli
scampati. Tra gli altri il Sottotenente di
Vascello Enrico Evangelista.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento in AFFONDAMENTI
Incrociatore Di Giussano
Il 9 dicembre 1941, al comando del
capitano di vascello Giovanni Marabotto,
lasciò il porto di Palermo insieme alla
nave gemella Alberico da Barbiano per
trasportare rifornimenti urgenti di
carburante per aerei a Tripoli. Tuttavia
l'ammiraglio Toscano, comandante della
IV Divisione, ritenendo, dopo
l'avvistamento da parte della
ricognizione aerea britannica, che la
sorpresa (indispensabile per la riuscita
della missione) fosse ormai sfumata,
ordinò il rientro.
Il 12 dicembre, tuttavia, essendoci in
Libia un disperato bisogno del
carburante, i due incrociatori dovettero
ripartire. Vennero intercettati al largo di
Capo Bon e affondati dai quattro
cacciatorpediniere nemici (i britannici
Sikh, Legion e Maori e l'olandese Hr. Ms.
Isaac Sweers) della 4th Destroyer Flotilla
della Royal Navy: il Di Giussano reagì
sparando tre salve, ma fu poi colpito da
almeno due siluri del Maori (che ne
aveva lanciati sei) e da colpi d'artiglieria;
alcune tubazioni scoppiarono,
ustionando i macchinisti e bloccando
l'elica sinistra. L'incendio si sviluppò in
maniera meno rapida e violenta che sul
Da Barbiano, ma la nave, immobilizzata
ed in fiamme, dovette essere
abbandonata e affondò, spezzandosi in
due, alle 4.20 del 13 dicembre.
Morirono 283 uomini dei 520 che
componevano l'equipaggio. Da una
testimonianza di un marinaio a bordo
risulta che dopo essere colpita la nave si
incendiò immediatamente e lo
sversamento del carburante estese
l'incendio nella zona di mare circostante.
Alcuni marinai morirono tra le fiamme,
mentre altri furono dispersi in mare.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento in AFFONDAMENTI
Incrociatore Da Barbiano
Il 12 dicembre 1941 lasciò il porto
insieme alla nave gemella Alberto di
Giussano per trasportare rifornimenti
urgenti di carburante per aerei da
Palermo a Tripoli. Venne intercettato al
largo di Capo Bon dalla 4th Destroyer
Flotilla della Royal Navy, ossia quattro
cacciatorpediniere nemici (i britannici
Sikh, Legion e Maori e l'olandese Hr. Ms.
Isaac Sweers); prima di avere il tempo di
reagire (solo poche mitragliere poterono
aprire il fuoco), la nave, centrata da
almeno tre siluri lanciati dal Sikh, dal
Legion e dal Maori, e da varie cannonate,
s'incendiò all'istante, senza scampo per
chi si trovava sottocoperta.
Fuori controllo, il Da Barbiano andò alla
deriva scosso da varie esplosioni, e
affondò, capovolgendosi, alle 3.35 del 13
dicembre, a meno di dieci minuti
dall'inizio dell'attacco. Su 784 uomini
dell'equipaggio i morti furono 534, fra di
loro l'ammiraglio Antonino Toscano,
comandante della IV Divisione, ed il
capitano di vascello Giorgio
Rodocanacchi, comandante della nave.
Entrambi scomparvero volontariamente
con l'unità e furono decorati con
Medaglia d'Oro al Valor Militare alla
memoria. Con loro ricevette la Medaglia
d'Oro alla memoria l'ufficiale di macchina
Tenente Franco Storelli.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento in AFFONDAMENTI
Incrociatore Fiume
Nel corso della battaglia di Capo
Matapan, il 28 marzo 1941, fu inviato
assieme alle altre unità della I Divisione a
soccorrere il gemello Pola, immobilizzato
da un aerosilurante britannico. Le navi
italiane furono però individuate dalle
corazzate britanniche Barham, Valiant e
Warspite, che aprirono il fuoco contro le
ignare unità della 1ª divisione. Il Fiume,
illuminato per primo dal proiettore del
cacciatorpediniere Greyhound, fu
devastato da numerosi colpi da 381 mm;
incendiato, sbandò sul lato di dritta sino
a che capovoltosi, affondò. Tra le unità
perse nella battaglia, fu quella che ebbe
le perdite maggiori fra l'equipaggio: 813
morti su 1104 uomini a bordo, fra cui il
comandante, c.v. Giorgio Giorgis, che fu
decorato con la medaglia d'oro al valor
militare. Invece riusci' a salvarsi il
comandante in seconda (CF Luigi Guida),
quale prigioniero.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento in AFFONDAMENTI
Incrociatore Zara
Lo Zara (al comando del CV Luigi Corsi,
comandante in seconda CF Vittorio
Giannattasio) nave di bandiera
dell'ammiraglio Carlo Cattaneo,
comandante la I Divisione, venne inviato
in soccorso del Pola, colpito da un siluro
di uno Swordfish britannico e
immobilizzato dalla totale mancanza di
energia elettrica e forza motrice. Oltre ad
esso, venne inviato il gemello Fiume e la
IX Squadriglia cacciatorpediniere,
composta dai caccia Oriani, Alfieri,
Carducci e Gioberti.
Arrivate nella zona dove si aspettavano
di trovare il Pola, prive di radar e quindi
impossibilitate a rilevare minacce
nell'oscurità che nel frattempo era calata,
la squadra italiana (che giunse in
prossimità del Pola addirittura con i
calibri "chiusi" dai tappi previsti per la
normale navigazione notturna in acque
non ostili) fu cannoneggiata, a sorpresa e
da distanza estremamente ridotta di
circa 6 miglia, dalle corazzate inglesi
Barham, Valiant e Warspite. Lo Zara, che
procedeva in testa alla formazione, fu
centrato da numerose salve di grosso
calibro incendiandosi e finendo fuori
combattimento in circa quattro minuti,
senza avere la possibilità di allontanarsi
o rispondere al fuoco. Il comandante
ordinò l'autoaffondamento; mentre
l'ordine veniva eseguito da un gruppo di
volontari guidati dal tenente colonnello
del genio navale Domenico Bastianini,
sopraggiunse il cacciatorpediniere Jervis,
che lanciò quattro siluri contro
l'incrociatore. Centrato da due di essi, lo
Zara saltò in aria. Morirono 782 dei 1098
uomini a bordo, fra cui l'ammiraglio
Cattaneo ed il comandante della nave,
c.v. Luigi Corsi, che avevano deciso di
affondare con la nave. Dei sopravvissuti,
279 furono catturati dagli inglesi.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento in AFFONDAMENTI
Incrociatore Pola
Il 28 marzo alle 19:50 circa, un
aerosilurante Fairey Swordfish britannico
decollato da Creta colpì il Pola, inviato a
proteggere il Vittorio Veneto, con un
siluro, mettendo fuori uso tanto
apparato motore quanto l'impianto
elettrico. La nave, praticamente alla
deriva, imbarcava acqua e, priva di
energia elettrica, non poteva muovere le
torri dei cannoni.
Impossibilitato a manovrare e fare fuoco,
il Pola era rimasto immobile nel corso
dello scontro venendo quasi del tutto
ignorato dalle unità britanniche, lanciate
alla caccia del danneggiato Vittorio
Veneto; solo dopo due ore di infruttuosa
ricerca i britannici tornarono a dedicarsi
all'immobilizzato incrociatore: il
cacciatorpediniere HMS Jervis si avvicinò
al Pola con l'intenzione di silurarlo, ma
visto che dall'unità non giungevano segni
di ostilità il comandante britannico diede
ordine di affiancare la nave italiana per
trarne in salvo l'equipaggio. I britannici
riferirono di aver trovato sull'incrociatore
una certa confusione tra l'equipaggio:
quando l'incrociatore era stato colpito
diversi uomini si erano gettati in mare,
convinti che la nave stesse per affondare;
in seguito molti di questi uomini erano
stati recuperati a bordo, ma il contatto
con l'acqua gelata aveva iniziato a
produrre casi di assideramento e per
scaldarsi molti di essi si tolsero le
uniformi bagnate e ingerirono
abbondanti quantità di alcolici. Le
immagini di gruppi di marinai seminudi e
in stato di ubriachezza spinsero quindi i
britannici a pensare che sull'unità italiana
vi fosse stato un crollo della disciplina.
Catturato e trasferito a bordo
l'equipaggio italiano (comprendente i
comandanti De Pisa e Brengola e 255
uomini), il Jervis si staccò dall'incrociatore
che, intorno alle 3:55, fu infine silurato e
affondato dal cacciatorpediniere HMS
Nubian.
Perirono 328 uomini su 1041 imbarcati.
Tutti i superstiti, incluso il comandante
De Pisa, furono fatti prigionieri.
(Estratto da Wikipedia)
Approfondimento in AFFONDAMENTI